martedì 10 agosto 2010

Guardie e ladri


Appunti di ritorno dalla Cisgiordania.

Un muro. Per non vedere. E per non pensare. Voci che si innalzano dalle due parti. Un soldato che urla ordini, una donna ferma al checkpoint che grida di dolore per le doglie, e non la fanno passare. E’ la guerra, è l’occupazione. Assurda, spietata, senza regole. Senza senso.

A diciotto anni c’è chi imbraccia un fucile ed esegue gli ordini senza pensare. A diciotto anni c’è chi sta facendo colazione e, senza preavviso, gli demoliscono casa. Qui non ci puoi stare, questa non è roba tua. Grate, filo spinato, barriere. Da qui non puoi passare.

A Hebron non si scende in strada a giocare. In strada ci stanno solo fucili e telecamere, ci stanno le guardie e ci stanno i ladri. Stesso cielo e stesso sole, un’ottantina di chilometri più in là. A Tel Aviv si sorride. Non importa se i Black Hawk volano basso con le mitragliere armate. Non importa se ogni rumore fa venire in mente una bomba. Ci si deve divertire, si deve vivere. Non guardare dall’altra parte del muro. Lì c’è un ragazzino che non ha acqua, che non ha diritti. Che se lancia una pietra viene arrestato e torturato finché non confessa di essere un terrorista. Così poi, magari, un giorno terrorista lo diventa per davvero. Pensa piuttosto che qui c’è un bambino che cresce con la paura, perché al di là del muro - gliel’hanno sempre detto - c’è il suo nemico. Che modello di fucile vuoi? Scegli quello che ti pare, basta che impari bene a prendere la mira.

La pace, quella no, non serve. Non è redditizia. Meglio le armi, meglio la violenza, che con quelle si fanno buoni affari. Meglio una barriera di cemento armato, alta una decina di metri che nemmeno i graffiti di protesta riescono a colorare.

A chi stanno facendo più male? A me o a te? Da grande cosa vuoi essere? Guardia o ladro?