sabato 16 gennaio 2010

Occhi di precaria


Anche stamattina non ho dormito fino a tardi. E ho preso un paio di pesci. Belli cicci, come piacciono a me. Intanto riflettevo: la mia vita è abbastanza facile. Se non ho voglia di andare a caccia, la mia ciotola è piena. Non devo condividere il mio territorio con altri felini e ho una collezione di palline con cui giocare. Insomma sono abbastanza fortunato, nonostante abbia pure io le mie scocciature. Se guardo però alla vita della mia mamma e del mio papà, noto un problema. Il loro lavoro. Oggi vi parlerò di quello della mia mamma, in un'altra puntata quello del papà.
La mia mamma e le mie zie sono tutte precarie. All'inizio non capivo bene il significato di questa parola, poi un giorno le ho sentite che parlavano tutte insieme. "Mi sento una mendicante di lavoro", diceva una. "Mi hanno rinnovato il contratto solo fino a marzo, poi come faccio?", si lagnava l'altra. E la terza: "Vorrei fare un figlio, ma come lo manteniamo?". Mi stava già venendo malditesta con tutte 'ste lamentele e 'sti cinguettii. Poi le ho guardate in faccia (prima le ho mordicchiate un po') e mi sono accorto di una cosa. Avevano tutte gli occhi senza sogni. E mi dispiace tanto per loro. Come posso fare ad aiutarle? Datemi qualche consiglio, per favore.

3 commenti:

  1. Beato te Palmiro... qui ti scrive un umano che è nelle condizioni della tua mamma, che si è visto sbattere fuori dal proprio posto di lavoro dopo più di 3 anni di onorato servizio... che dire... in questo Paese la fiducia ai giovani è davvero un optional...

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  2. Caro Claudio, secondo me dovreste tirare fuori gli artigli, per usare una metafora felina...e fategliela vedere a 'sti vecchiacci che comandano se davvero "non è un paese per giovani".

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  3. Continua a morderle e a graffiarle, Palmiro,tutte queste giovani mamme e zie e amiche di casa. Per svegliarle e tenerle sveglie, per riempire i loro occhi vuoti di sogni almeno con un guizzo di reazione rabbiosa...
    E sopratutto per contagiarle con la saggezza felina che sa vivere anche la precarietà e il rischio come avventura anzichè come gabbia...

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